na' tazzulella 'e cafè

Mi alzo, apro l’anta in finto legno e prendo la caffettiera quattro tazze Bialetti, uno dei primi acquisti fatti qui a Taizhong. La svito lentamente perchè mi piace sentirne il rumore sordo. Via il filtro, dentro l’acqua, rimetto il filtro e poi il caffè, quel prezioso caffè Lavazza, un pezzo d’Italia, una passeggiata in via Garibaldi a Torino, un sorriso dopo una pubblicità.
E’ già sul fuoco, e l’attendo seduto nel mio studio. Lo sbuffare del treno, è pronto, mi chiama, lo verso in quella tazzina bianca e immacolata, che si tinge e sporca di color marrone, ed inizia a sudare. Lo studio è travolto da un aroma forte ma dolce, che si impossessa di narici e polmoni. “Dov’è lo zucchero?”. Manca sempre qualcosa, anche nelle piccole cose l’ombra dell’imperfezione. Un cucchiaino e mezzo, forse troppo per una tazzina così piccola, ma è sempre meglio non essere avari nel bene. E gira e gira, il cantileno suono del chucchiaino che sfrega lo zucchero sul fondo della tazzina, e l’urto improvviso e non voluto con il bordo della tazza, un suono più squillante. Una piccola orchestra che in un climax crescente accompagna il rito del caffè.
E aspetto che si addolcisca, un’attesa lunga e paziente, ma mai snervante. La speranza che anche tu con il passare del tempo possa addolcirti e cambiare. E mentre lo bevo, amaro, selvaggio, mascolino, orgoglioso e prepotente mi sento come Montalbano sulla sua veranda con di fronte un mare impetuoso, una nuova indagine, a sfidarlo. Ed io, avvolto dal din din della pioggia e dall’ululare del tifone, che mi ricongiungo al mio mondo. Una goccia di caffè, un attimo di famiglia.